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Storia di Zanella a puntate: parte 3

Scritto da achiampo | 1 maggio 2020

Nel 1829, all’età di nove anni, Giacomo Zanella arriva a Vicenza, dove frequenta la prima e la seconda classe del Ginnasio comunale. Gli studi ginnasiali, comprendenti discipline come Grammatica, Umanità e Filosofia, proseguono nei sei anni successivi nel Seminario di Vicenza. Qui il poeta incontra ottimi maestri, tra cui il compaesano Don Paolo Mistrorigo, da cui impara l’arte del limae labor et mora e quindi l’abitudine di non accontentarsi della prima forma, rivedendo le sue opere numerose volte in un paziente lavoro di rifinizione.

 

“Dall’esercizio [di traduzione dei classici]

Ho colto un bene non tanto allora avvertito, come adesso;

cioè l’abitudine di non contentarmi della prima forma. Nelle cave di pietra

che sono in Chiampo, mio luogo natale, ho veduto che i primi

strati non hanno valore, come quelli che facilmente si sfogliano e

si sgretolano; solamente dopo il secondo o il terzo esce la lastra

magnifica, che resiste alla forza dissolvente del sole e del ghiaccio”

(Prefazione alla I Edizione di Versi, p. XLII)

 

Il fine di una scuola improntata sugli studi classici era quello di educare al buon gusto e al sentimento morale, in una visione dell’alunno capace di produrre qualcosa “di durevole e degno del nome italiano”. Zanella vede nello studio dei classici greci e latini, e nella loro ricerca del bello ovunque si trovi, il fondamento della cultura. Per Zanella i classici come Orazio e Virgilio non devono essere solo oggetto di pura adorazione, ma modelli da imitare al fine di stimolare il fluire naturale, libero e originale dei propri pensieri. Infine, la parte più illuminata del pensiero zanelliano riguarda il come studiare i classici: accostando questi testi senza seppellirli sotto particolari storici e dettagli grammaticali, ma lasciando che nutrano il pensiero, fecondino l’immaginazione e riscaldino il cuore. Un’educazione quindi non sterile e fine a se stessa, ma volta a formare persone capaci di pensare con la loro testa.

 

“Io vi confesso, Signori, che i Greci e i Latini sono i più cari compagni

Della mia vita; che da loro attinsi insegnamenti e conforti ineffabili;

che per loro mi sento trasportato in un mondo più sereno

e sinceramente più grande. Ebbi la sorte che ottimi professori

m’introducessero nell’aurea antichità. Essi non mi soffocarono l’anima

con soverchio peso di commenti grammaticali, filologici, critici;

ma m’insegnano a riscaldarmi sopra una orazione di Livio,

a piangere sopra un luogo di Virgilio”

(Scritti Varii, Della morale nella istruzione secondaria)