LA VALLE DEL CHIAMPO

La ricchezza della Valle del Chiampo è l’acqua pura e cristallina. Lungo il suo corso, nei secoli, si sono insediate le genti. Secondo gli storici, lo stesso termine Chiampo deriverebbe dal longobardo “Klam-po” che significa “piccolo Po”, date le caratteristiche di Valle verde e fertile come doveva apparire un tempo. Secondo altri, il nome ricorda anche il latino “Campus”, cioè pianura o campo coltivato.

 

La presenza del torrente Chiampo, da cui il nome del paese, ha favorito nel corso del tempo la vita del nucleo urbano e di diverse attività legate all’acqua: mulini, folli per la tessitura, filande, lavorazione del marmo, concerie, ed anche una cartiera. Tra le attività economiche nell’alta Valchiampo, va ricordato l’allevamento delle trote, iniziato dopo la Seconda Guerra Mondiale, giungendo ad una fiorente attività con una ventina di itticoltori.

 

Lungo i secoli non mancarono dispute e controversie sull’utilizzo dell’acqua.

Sono di interesse storico due antiche mappe: una realizzata dal perito agrimensore Angelo Zanovello nel 1681, l’altra di Giovan Domenico Dall’Acqua, del 1726, entrambe conservate in Comune di Arzignano. Descrivono il corso delle acque del Chiampo e della roggia che scorreva nei centri abitati di Chiampo e Arzignano, con l’obiettivo di regolamentare e gestire l’uso delle acque sia a scopo industriale che di irrigazione nonché per determinare i precisi obblighi di manutenzione ordinaria e la ripartizione delle quote di spesa tra comunità locali e privati cittadini confinanti.

 

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(1) Particolare della mappa di Angelo Zanovello, 1681. (2) Particolare della mappa di Giovan Domenico Dall’Acqua, 1726.

 

 

Oltre il ponte, la scuola elementare intitolata a Giacomo Zanella.

Sulla sinistra dell’edificio, un monumento a forma di conchiglia stilizzata, e un busto in bronzo, posti nel 1988, anno del centenario dalla morte del poeta.

 

 

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SONETTO XXXV - ASTICHELLO

Il rapporto con l’acqua pervade molta della poetica di Giacomo Zanella. Un percorso legato da un filo blu, che inizia sulle cristalline acque del Chiampo o dei ruscelli delle colline, e termina nelle acque dell’Astichello, il piccolo fiumiciattolo vicentino che muore nel Bacchiglione.

Emerge il parallelismo tra le sue opposte fasi della vita, e la natura tanto diversa di questi due corsi d’acqua. Il Chiampo, torrente impetuoso e roboante corrisponde all’età della giovinezza e dell’energica vitalità. Di contro, il “cheto” Astichello, dalle acque lente, rispondente agli anni in cui il poeta si ritira dall’insegnamento cercando la quiete nella villetta che si fece costruire nella campagna di Cavazzale di Monticello Conte Otto, dove trascorrerà gli ultimi anni di maturità, dal 1878 alla morte nel 1888.

Nei versi del Sonetto XXXV ricorda il “sassoso fragor” (si noti l’onomatopea) del “natìo torrente”. Tra le acque possenti, come una Menade furente (Menadi erano le seguaci del dio Dioniso), ne contemplava la bellezza. E la forza dei venti, definita “romor” (anche qui non sfugga il richiamo fonetico), paragonata all’energia della giovinezza: “Ché non di fuor soltanto era tempesta”. Quindi, le acque tranquille (placide), e non più il “romor” dei venti, ma una brezza appena, (l’aura che ai rosai scioglie la chioma) degli anni dell’Astichello.

 

 

 

 

Amai garzone del natio torrente

Il sassoso fragor. Nell’Alpi errando,

Se d’aereo macigno onda cadente

Rapida a’ piedi mi venia spumando,

 

E come scinta Mènade furente

Usa sull’Ebro a vibrar tirso e brando,

Fra le rupi avvolgea la sua corrente,

Con muta voluttà stetti mirando.

 

E de’ venti il romor, che di foresta

In foresta passava allor mi piacque,

Ché non di fuor soltanto era tempesta.

 

Or che l’età quella baldanza ha dóma,

Amo, Astichello, le tue placid’acque,

E l’aura che a’ rosai scioglie la chioma

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