TAPPA 1
CHIESA MADONNA DELLA PIEVE
a cura di Matteo Pieropan
L’ode “Ad un’antica immagine della Madonna” è dedicata alla statua della Madonna della Pieve, del XV secolo. La Pieve è luogo devozionale per l’intera vallata fin dal Mille. Dentro questa chiesa anche il piccolo Giacomo Zanella veniva in visita, probabilmente accompagnato dalla madre, per pregare.
Sopra la porta laterale, nella foto storica di destra, si può notare la lapide posta nel 1866, 15° anniversario della morte del sacerdote e amico di Giacomo Zanella, don Paolo Mistrorigo. Oggi la lapide si trova sullo stesso punto, sopra la porta laterale della chiesa, ricostruita nel 1962.
L’antica chiesa della Pieve, demolita nel 1962 per realizzare l’attuale edificio. La freccia sulla foto indica la lapide dedicata alla memoria di don Paolo Mistrorigo
> Don Paolo Mistrorigo era nato nel 1804 a Chiampo. Studiò filosofia e teologia, nel 1928 venne ordinato sacerdote e maestro del collegio comunaleCordellina in S. Marcello. Acceso patriota, insegnò Filologia e Storia al liceo di Vicenza nel 1841, e fece parte della Accademia Olimpica. Scrisse poesie, liriche e inni, pubblicati in collane tra il 1846 e il 1850. Morì il 3 agosto 1851. Fu lo Zanella stesso, nell’ottobre 1866, a dettare i versi incisi sulla lapide, conservata sopra l’ingresso laterale della chiesa:
«Fossi ora con noi
e vedessi l’Italia quale noi la veggiamo
o nostro desideratissimo amico
ottimo sacerdote egregio poeta
PAOLO MISTRORIGO
che in questa chiesa nel 1848
accendevi la gioventù del tuo Chiampo
alla guerra contro l’Austria
i tuoi amici
raccolti in lieta adunanza
la sera del 1 ottobre 1866
ti ordinarono questa memoria
quindici anni dopo
che fosti rapito all’amore del Chiampo
alla gloria d’Italia»
Scrivendo a Fedele Lampertico, lo Zanella dirà del suo maestro e amico don Paolo Mistrorigo:
«Reputo mia somma ventura essermi legato giovanissimo in amicizia con Paolo Mistrorigo, già professore di filologia e di storia nel liceo di Vicenza: bellissimo ingegno, di cui l’Italia ha vedute e lodate varie versioni da Orazio e da Ovidio. Eravamo nativi dello stesso luogo. All’autunno, nelle nostre passeggiate, una strofa o un distico di que’ poeti ci teneva compagnia per qualche miglio; ed avveniva non di rado che la sera ne separasse, prima che ci venisse trovata la frase da rendere con evidenza il pensiero latino».
I FRATI
Nel 1867 giunsero alla Pieve i primi frati, scacciati da Vicenza dopo la soppressione dei beni religiosi da parte dello Stato. Accolti dal sindaco Antonio Fracasso e dal parroco don Orazio Faggian, trovarono asilo nella vecchia casa del sacrestano. Da qui iniziò il cammino della comunità francescana della Pieve. Vi si aggiunsero i fratini, pionieri del collegio serafico che ospiterà centinaia di ragazzi.
Richiama migliaia di pellegrini la grotta, copia esatta in dimensioni e fattezze della grotta di Lourdes. Venne edificata tra il 1933 e il 1935 da fra Claudio Granzotto,
Grotta di Lourdes realizzata da Fra Claudio Granzotto, e la Madonna da lui scolpita.
Nel plesso santuaristico, anche la Via Crucis con statue in bronzo a grandezza naturale, e la nuova chiesa dedicata al Beato Claudio con capienza di 1500 posti e il grande mosaico del presbiterio, 400 metri quadrati, opera di Padre Marko Rupnik.
Link: https://www.santuariochiampo.com/beato-claudio-granzotto/
“AD UN’ANTICA IMMAGINE DELLA MADONNA” - 1868
La poesia, incisa anche su lapide all’esterno del convento, si divide in due parti: l’“umile paesel”, che nella sua antica e devota fede ricorre alla Vergine e ne ha grazie e conforto nei dolori della vita; e per contrapposto, l’“audace secolo” XIX che, nella sua incredulità materialistica, monta in superbia e si vede la vita sempre più tormentata dal dubbio, dalla tristezza e dal freddo di una morte totale. ecco, in sintesi, il nucleo ispiratore dell’ode: le speranze di una fede umile, e la disperazione di una scienza arrogante.
(tratto da “Giacomo Zanella, poeta antico della nuova Italia” di Stelio Fongaro).
L’antica statua della Madonna della Pieve che ispirò Zanella
Oh, se quel dolce labbro, che d’amore
Pur sorridendo parla, si schiudesse;
Se ciò, che ascose in core
Per tanto tempo, quella Pia dicesse;
Quante tacite pene e quanti voti
Non d’altri al mondo, che da Lei, compresi,
Quanti conflitti ignoti
E segreti martìr sarian palesi!
L’umile paesel non ha dolori
Che non ricorra alla chiesuola antica,
E da te grazia implori,
O non mai tarda degli afflitti amica.
Lì sgomentata, l’abito negletto,
Vien giovin madre che per pochi istanti
All’egro pargoletto
Il conforto rapì de’ suoi sembianti.
Pel suo fedel sepolto e pe’ garzoni
Lontan lontano militanti accende
Povera cera e doni
Di pochi fior la vedovella appende,
Che conta i giorni e piagne. Oh, se non vista
La sua lagrima cade, e profumato
Lin non la bee, men trista
Anco sgorga dal cor racconsolato.
Miti ha gli affanni il povero che crede
Nè per andar di tempi e di fortuna
Si pente della fede,
Che da’ canti materni apprese in cuna.
Dal fior della scïenza amaro tosco
Sugge l’audace secolo: più tenta
I chiusi abissi e fosco
Più lo raggira il dubbio e lo tormenta.
Stretti nel pugno i conquistati veri
Sale superbo incontro al cielo: immensa
Luce è ne’ suoi pensieri,
Ma la notte del cor si fa più densa.
Per tutto investigar di tutto incerto
Ciò che si creda e che si speri ignora.
O co’ tuoi sogni esperto
La febbre ad irritar che ti divora,
Povero ingegno uman, di tanti voli,
Onde il mondo abbracciasti e pellegrino
Oltre i lontani soli
Ferver sentisti l’alito divino,
Degno frutto ti par questa sparuta
Di vil lucro maestra e di sozzura
Filosofia che muta
L’anima in fango e l’avvenir ti fura?
Ahi, dal dì che lo scettro in sua man tolto,
«Più non v’ha Dio,» l’uom disse e re si assise
Dell’universo, il volto
Scolorato abbassò nè più sorrise.
Spento il sereno fior della speranza
Che rimena la stanca anima a Dio,
Quello che al mondo avanza
È notte sconsolata e freddo obblio.